di Adriano Cattaneo, Medico Epidemiologo, già Centro Collaboratore OMS per Salute Materno Infantile, Istituto per l’Infanzia, Trieste – membro Gruppo Coordinamento NoGrazie
di Alberto Donzelli, specialista Igiene e Medicina Preventiva, Consiglio Direttivo e Comitato Scientifico Fondazione Allineare Sanità e Salute
di Sergio Conti Nibali, Pediatra di Famiglia, Messina, Direttore UPPA Magazine
Assistiamo al moltiplicarsi di iniziative di promozione di una vaccinazione antinfluenzale indiscriminata da parte di Società Professionali e Regioni (alcune ne prevedono l’obbligo per anziani o altre categorie), non precedute da un ampio confronto scientifico. Nell’esprimere preoccupazioni, supportate con dati e prove scientifiche, su estensioni indiscriminate di questa vaccinazione, non intendiamo essere strumentalizzati da posizioni antiscientifiche, ma neppure rinunciare a discutere nel merito di specifici temi e strategie vaccinali, come si considera normale poter fare con qualsiasi farmaco.
Due degli argomenti ricorrenti per estendere questa vaccinazione sono che:
- favorirebbe la diagnosi differenziale con Covid-19, alleggerendo anche il carico assistenziale del SSN
- porterebbe benefici per la salute all’intera comunità, oltre che ai soggetti ad alto rischio
Vorremmo poter discutere i due punti in contesti medici e istituzionali; per restare nello spazio di una lettera iniziamo dal primo. In base ai dati degli ultimi 7 anni dei Rapporti Virologico ed Epidemiologico dell’ISS, la proporzione di influenze vere rispetto al totale delle sindromi influenzali (clinicamente indistinguibili dalle influenze, e che le ricomprendono) è solo del 29,9%. Cioè: meno di 1/3 delle malattie invernali chiamate dal Ministero “casi d’influenza”, o meglio “sindromi influenzali”, sono influenze vere.
Casi di influenza, positivi ai virus influenzali, casi stimati di influenza (ipotesi massima)*
stagioni influenzali | casi di influenza | casi di influenza | campioni biologici analizzati | campioni biologici analizzati | casi positivi |
secondo il ministero | totale | positivi ai virus | positivi ai virus | ai virus influenzali | |
valori assoluti | in % | ||||
2013-2014 | 4.502.000 | 4.426 | 1.033 | 23,3 | 1.049.000 |
2014-2015 | 6.299.000 | 10.471 | 3.715 | 35,5 | 2.236.000 |
2015-2016 | 4.877.000 | 8.971 | 2.450 | 27,3 | 1.331.000 |
2016-2017 | 5.441.000 | 12.034 | 3.518 | 29,2 | 1.591.000 |
2017-2018 | 8.677.000 | 16.135 | 5.494 | 34,1 | 2.954.536 |
2018-2019 | 8.104.000 | 20.009 | 6.368 | 31,8 | 2.579.153 |
2019-2020 | 7.595.000 | 16.146 | 3.760 | 23,3 | 1.768.686 |
Totale | 45.495.000 | 88.192 | 26.338 | 29,9 | 13.509.375 |
L’efficacia media del vaccino antinfluenzale è stimata al 44% (Sah P et al: Proc Natl Acad Sci USA 2019), cioè il vaccino riesce a prevenire meno di metà dei casi d’influenza vera. Il 44% del 29,9% è circa il 13%: questa è dunque la riduzione media di sindromi influenzali che una vaccinazione generalizzata potrebbe ottenere. Nella pratica, con l’estensione o l’obbligo vaccinale, in Italia la riduzione sarebbe verosimilmente inferiore al 13%, anche perché metà della popolazione anziana si vaccina già comunque ogni anno. Inoltre il fenomeno dell’interferenza virale (si veda la documentazione al cap. 12 del volumetto, – incluso l’unico RCT su questo tema – Cowling B et al. Clin Infect Dis 2012) rende plausibile, nei vaccinati contro l’influenza, un aumento di altre virosi respiratorie non influenzali. Ciò è stato ribadito anche in Wolff GG. Vaccine 2020, e potrebbe ridurre o persino vanificare quel già minuscolo 13%. Ai fini della diagnosi differenziale dalla Covid-19 una riduzione irrilevante delle sindromi influenzali sarebbe inutile, e il messaggio mediatico potrebbe essere persino pericoloso, perché un vaccinato che lo recepisse in modo acritico potrebbe pensare che – se la vaccinazione “esclude un’influenza” – il primo raffreddore sia una Covid-19.
Ci sono dubbi anche sul carico assistenziale “alleggerito”. Le revisioni Cochrane degli studi, eterogenei, mostrano che su adulti sani di 16-65 anni la vaccinazione farebbe in media risparmiare circa il 4% di una giornata lavorativa. Se la giornata fosse di 8 ore, cioè di 480 minuti, un risparmio medio del 4% si tradurrebbe in meno di 20’ risparmiati una tantum, da cui andrebbe ancora detratto il tempo di lavoro, modesto per i sanitari in un ospedale, maggiore altrove, per spostarsi dalla propria sede operativa al punto di vaccinazione, oltre all’eventuale attesa di ricevere la prestazione e al tempo d’inoculazione, senza contare possibili effetti avversi. Ma i nuovi vaccini ad alta dose sono da un lato più immunogeni, dall’altro anche più reattogeni. Se parte degli adulti sperimentasse eventi avversi “banali” in proporzioni simili a quelle riportate negli ultra65enni in una ricerca randomizzata con sorveglianza attiva (l’unica sorveglianza idonea a rilevare le reazioni in modo valido), è plausibile che l’operatività di questi lavoratori ne sarebbe indebolita. Ad esempio, negli anziani il 41,3% dei vaccinati ha avuto dolore in sede d’iniezione; nel 3,6% dei vaccinati questo è durato da 4 a 7 giorni, nello 0,5% più di 7 giorni, configurando eventi avversi locali di grado 2 “richiedenti interventi terapeutici addizionali, interferenti con le normali attività ma senza rischi permanenti”, o di grado 3, che “hanno interrotto le attività quotidiane, interessato lo stato clinico in modo significativo, o richiesto un intervento terapeutico intensivo”. E gli adulti possono avere reazioni più forti rispetto agli anziani. Certo un’influenza dà effetti avversi molto maggiori, ma il rapporto non è tra 1 sindrome influenzale e 1 vaccinazione, ma tra 1 sindrome influenzale e 42 vaccinazioni nell’anziano, tra 1 e 55 vaccinazioni nelle gravide, tra 1 e alcune decine negli adulti dai 16 ai 65 anni.
Anche la Raccomandazione degli esperti del Gruppo strategico NITAG considera troppo ottimistiche le aspettative generate sulla diagnosi differenziale, e afferma che “l’estensione dell’offerta suggerita, se adottata in tutto il nostro Paese, potrebbe comportare una serie di criticità… milioni di sedute vaccinali aggiuntive… difficilmente ottenibile”. Il NITAG invita le Regioni a stabilire piani di priorità d’offerta, per garantire la protezione dei gruppi a più alto rischio “prima di considerare eventuali estensioni d’offerta della vaccinazione”. Sarebbe paradossale se Regioni che puntano a triplicare le vaccinazioni riducessero le scorte per coprire in altre le categorie più a rischio. Si è ancora in tempo per una discussione scientifica basata sui dati, senza invocare il principio di autorità per sopprimere il confronto.
Sull’argomento è stato recentemente pubblicato da Giovanni Fioriti Editore il libro di Peter C. Goetzsche “Vaccini: verità, bugie e controversie“, che offre una panoramica approfondita e basata sull’evidenza del rapporto rischio-beneficio in merito all’utilizzo dei vaccini.
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