Consuetudine vuole che le donne, superati i quaranta anni, si sottopongano annualmente a una mammografia. Ma quali sono i rischi e le percentuali di falsi positivi dello screening mammografico? Quanto è davvero necessario sottoporsi all’esame ogni singolo anno per determinate fasce d’età?
L’idea che la mammografia sia un esame imprescindibile per ogni donna è ormai radicata nell’opinione pubblica. Eppure, l’esame a volte nasconde delle insidie. Le donne che non hanno avvertito un nodulo al seno dovrebbero esserne consapevoli. Invece, quelle che lo hanno fatto dovrebbero contattare immediatamente il medico e, se richiesto, sottoporsi all’esame. Ricordiamo sempre che la costante osservazione e autopalpazione è fondamentale per cogliere anomalie nel proprio seno.
A causa dell’elevata percentuale di falsi positivi dovuti allo screening mammografico, tantissime donne di età inferiore ai 50 anni subiscono una biopsia. Questa, però, in 8 casi su 10 rivela l’assenza di cancro. Ciò significa che le pazienti hanno trascorso giorni e settimane terrorizzate all’idea di morire senza un vero fondamento. Il luogo comune è che le mammografie, seppure responsabili di un eccesso di diagnosi, siano meglio di niente. Ma chi la pensa così ignora il danno, sia fisico che psicologico, derivante dalla diagnosi falso positive.
In base a diversi dati e studi clinici, si è discusso se le donne di età compresa tra 50 e 74 anni non dovessero più fare le mammografie ogni anno, bensì ogni due anni. Il numero di vite salvate dalla mammografia annuale non è infatti sostanzialmente diverso se l’esame è annuale o biennale. Così facendo, tuttavia, si ridurrebbero i falsi positivi di circa la metà.
La mammografia come “una palla di neve nella tormenta”
Steven Hatch, con “Una palla di neve nella tormenta”, pubblicato da Fioriti Editore, mette in luce quanta poca certezza fondi molte diagnosi e prognosi pronunciate dai medici. Questi, infatti, si trovano spesso in difficoltà a trovare segnali entro un ambiente pieno di messaggi contraddittori e a volte disturbanti. Palle di neve in una tormenta, appunto. Con questo libro, che segue il percorso tracciato da Gotzsche, Hatch intende rendere partecipe il lettore dell’incertezza diffusa in ogni campo della medicina, che può fallire quando i pazienti, o i dottori stessi, ripongono troppa fiducia in un esame.
Pur volendo fornire una guida al lettore perché interagisca in maniera più informata con gli operatori sanitari qualificati, il libro non intende in alcun modo sostituirsi a questi ultimi. Il parere riportato non sostituisce una consultazione con un medico o un altro operatore sanitario, e le riflessioni dell’autore non possono essere ritenute responsabili di qualsiasi decisione venga presa e di qualunque sia il suo esito.
Ma la medicina, così come tutta la scienza, per progredire deve continuamente mettere in discussione se stessa, proprio a partire dalle certezze acquisite.
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