di Carlo Boracchi e Alberto Mascena
Le unioni miste sono un fenomeno che getta luce sulla società del futuro, una società plurale in cui persone di differente origine culturale, sociale e religiosa si troveranno sempre più spesso a vivere insieme. Una coppia mista rappresenta, dunque, un laboratorio sociale in cui sperimentare pratiche inter-culturali che sappiano generare nuovi modi di costruire le relazioni.
Oggi, in un modo totalmente globalizzato, dove l’interconnessione tra modelli di vita differenti è sempre più intensa, le coppie miste rappresentano il barometro fondamentale attraverso cui misurare il grado di inclusione sociale tra autoctoni e migranti. Esse mettono in luce nuovi livelli di relazione, pur mantenendo la comune sfida di tutte le coppie “tradizionali”; la costruzione dell’armonia di coppia, cioè, procede attraversando gli stessi guadi: coesione di coppia, educazione dei figli, rapporti con le famiglie d’origine, ecc. Al contempo, le unioni miste pongono nuove questioni legate a come due mondi culturali, religiosi, etnici differenti possano trovare il modo di coesistere. Un ulteriore livello di complessità è dato dal “riverbero” che tali coppie scatenano all’interno della comunità sociale più ampia; in tal senso, le esperienze legate al razzismo ed alla discriminazione del partner migrante, e le tensioni in merito al dialogo interreligioso, pongono dei quesiti piuttosto delicati.
La storia di coppia è un copione che si scrive in due, la cui sceneggiatura è data dal modo e dal grado in cui le differenze personali, sociali e culturali si coordinano, si incontrano e si valorizzano reciprocamente. Alla luce di ciò l’armonia o la disarmonia di coppia nasce e si mantiene in funzione della capacità dei partner di riuscire a “fare” qualcosa con le differenze.
Sembra, infatti, che un ruolo cruciale sia svolto dalla modalità con cui sono gestite le differenze. Non sono, cioè, le differenze culturali in sé e per se a generale le difficoltà, ma come esse sono discusse, riviste e negoziate.
Nella pratica clinica è fondamentale che tali differenze siano riconosciute e valorizzare. Bisogna tuttavia porre attenzione a come interpretare queste differenze; esse non sono altro che un riduttore di complessità, delle categorie attraverso cui agganciarci al vissuto dell’altro ma che tuttavia non esauriscono la complessità individuale della persona che abbiamo davanti. Detto altrimenti, una persona non è la sua “cultura”; piuttosto ogni individuo è interprete attivo della propria cultura di cui può conservare alcuni aspetti, trascendendone altri.
Esistono poi alcune considerazioni sociologiche e statistiche che non possono essere tralasciate: durante gli ultimi trentacinque anni nei paesi dell’Europa mediterranea, e in particolare in Italia, le migrazioni umane hanno radicalmente modificato gli assetti societari tradizionali.
All’interno di tale quadro sono diversi gli aspetti innovativi: nuove configurazioni relazionali tra migranti e autoctoni ridefiniscono il paesaggio sociale e nuove forme di coesione sociale si stabilizzano sempre di più. Le unioni miste, in tal senso, rappresentano sicuramente un unicum; l’incontro tra persone di differente origine culturale, religiosa, etnica e sociale generano realtà sociali inedite, in cui possiamo riscontrare diversi vincoli e risorse che coinvolgono non soltanto la coppia e la famiglia, ma anche le famiglie d’origine e il contesto sociale più ampio.
In Europa il fenomeno è sempre più radicato (Tognetti-Bordogna 2001, 2015; Rodriguez-Garcia 2006), pur con una grande differenza tra i paesi con una lunga storia di migrazione e colonizzazione (Inghilterra, Francia, Belgio e Germania) e i paesi del sud Europa (Italia, Spagna e Portogallo).
Per quanto l’Italia sia un paese in cui, per ragioni storiche e geografiche, le unioni miste siano un fenomeno esistente da sempre, è solo in tempi relativamente recenti che si è iniziato ad osservarle in modo più specifico (Andolfi et al. 2011; Tognetti-Bordogna 2001, 2015). Secondo i dati Istat, nel 2014 i matrimoni misti celebrati ammontano a oltre 17.500, andando a rappresentare il 9,2% dei matrimoni in Italia, e il 10% tra i matrimoni celebrati, sempre nello stesso anno, al nord. I dati Eurispes del 2015 mostrano un ulteriore aumento di queste celebrazioni: 20.764 in totale. Sempre Eurispes ha elaborato un’interessante stima secondo la quale i matrimoni misti celebrati nel 2030 saranno 35.807. Infine, nel 2013 sono nati 28.989 bambini figli di coppie miste.
Sono dati molto eloquenti se si pensa che non includono le coppie di fatto.
Tra gli aspetti da tenere in considerazione, bisogna porre attenzione anche alla diffusione delle tecnologie digitali e, in generale, dei social network. Gli effetti di tali innovazioni sul nostro sistema nervoso, ad esempio, sono state ampiamente documentate (Greenfield 2016) e lo spazio imperante occupato da social network e dalle relazioni virtuali nelle nostre vite sta modificando in modo ugualmente determinante le modalità storiche di vivere e costruire relazioni affettive e rapporti interpersonali.
La sempre crescente possibilità di mettersi in contatto virtuale con persone che vivono in luoghi lontani, e la conseguente creazione di relazioni a distanza, ha sicuramente implementato la diffusione dei rapporti “misti”, che risultano alle volte “superficiali” poiché costruiti in un ambiente, quello virtuale, che non permette un’adeguata conoscenza reciproca. Spesso, infatti, le coppie che nascono nel web vivono in un ambiente disconnesso dalla complessità del reale, aprendo la strada a incomprensioni di vario tipo. Il tema meriterebbe certamente uno spazio più ampio che non può qui essere approfondito, ma l’idea che “incontrandoci al di fuori del nostro contesto possiamo conoscerci meglio” si basa spesso sulla falsa credenza che sia possibile scindere ciò che siamo nella nostra vita e nei nostri rapporti quotidiani da ciò che siamo “realmente”. Inevitabilmente una relazione avviata secondo premesse di questo tipo dovrà scontrarsi con le esigenze legate alla vita “ordinaria”.
Il posizionamento del professionista: la riflessività
Quali strategie di gestione delle differenze sono messe in atto dai partner? In che modo la coppia negozia la propria “differenza” con le famiglie d’origine dei partner e il contesto sociale? E quali implicazioni per la pratica clinica?
Queste domande fanno riferimento solo ad alcune delle dimensioni cruciali che emergono nel lavoro clinico insieme alle coppie miste. Riuscire a cogliere le differenze in gioco non è facile, e per tale ragione è importante che il professionista sia consapevole delle proprie assunzioni di significato, spesso implicite, relative a cosa è una “coppia” e come dovrebbe “funzionare”.
Nell’osservare la coppia si finisce inevitabilmente per utilizzare i personali sistemi interpretativi che possono distogliere da una corretta interpretazione delle dinamiche complesse (Singh 2009, 2014; Wallis e Singh 2014, Gabb e Singh 2015). Singh porta l’esempio dell’idea di “couplehood” tra oriente e occidente; se nelle culture asiatiche la coppia è incorporata all’interno delle famiglie estese (Nath e Craig 1999), in occidente la coppia tende a creare un nucleo a sé. Inoltre, nelle famiglie non occidentali la diade primaria non è necessariamente la coppia: a volte a formarla sono padre e figlio, madre e figlio, o diadi basate su altri tipi di affinità (Falicov 1995, Krause 1998, 2012). Esistono, pertanto, diversi modi di “fare famiglia” e di “fare coppia”. Singh mette in guardia dal rischio di omogeneizzare e reificare una data cultura, aspetto che non permette di vedere le risorse della coppia o della famiglia.
Essere consapevoli di alcune assunzioni di stampo ideologico è un ulteriore aspetto da tenere in considerazione (Johnson e Warren 1994). In tal senso, alcune idee possono riguardare una prospettiva di “dominanza sociale” secondo la quale si presume una differenza di “potere” tra partner “autoctono” e partner straniero (Chan e Smith 1995, Kearl e Murguia 1985). Altre volte si può credere che la scelta di un compagno/a straniero/a sia frutto di un’ideologia antirazzista, o di un tentativo di ribellione verso la società e la famiglia (Lehrman 1967, Porterfield 1978, Tognetti Bordogna 2001).
In qualità di professionisti, dunque, come possiamo maneggiare un oggetto tanto ricco di complessità?
Tale complessità deriva dal lavorare insieme a un sistema sospeso tra due mondi (quelli presenti nella coppia) alla ricerca di un modello interpretativo congiunto che permetta ad entrambe le istanze di essere riconosciute, comprese e valorizzate. In particolar modo, il terapeuta dovrebbe essere sensibile alle differenze culturali, capace di traghettare i significati per tradurli in modi che siano accolti dalla coppia.
Le dimensioni in gioco nel lavoro clinico
La complessità presente in una coppia così articolata è la dimensione con cui il clinico è chiamato a confrontarsi inevitabilmente: essa può diventare il labirinto nel quale perdersi o dal quale tenersi alla larga, oppure la miniera alla quale attingere.
Ciò che permette di riconoscerla come una risorsa piuttosto che come una trappola è lo sguardo con cui la osserviamo e con cui ci caliamo in essa: uno sguardo capace di offrire al clinico gli strumenti per costruire una mappa per muoversi dentro questo territorio.
Chi scrive ha trovato nello sguardo sistemico quello sguardo capace di connettere le molteplici dimensioni attive e simultaneamente interagenti in ogni fase di vita della coppia e capaci di interferire o sostenere determinate scelte o comportamenti dei partner.
Durante la costruzione della relazione di coppia ciascun partner possiede una precisa idea relativa ai compiti, ai ruoli, ai comportamenti, agli atteggiamenti, ed alle responsabilità richieste. Questi sono aspetti che adesso vanno rinegoziati e discussi con l’altro, il quale possiede una sua personale idea di cosa significhi stare in relazione.
Entrambe queste idee sono state costruite dentro il percorso personale e familiare di ciascun partner. Durante il processo di sintesi che la coppia è chiamata a fare è possibile che sorgano difficoltà la cui risoluzione può coincidere a volte con la costruzione di un universo di significati condiviso. Ciò significa che i partner riescono ad istituire un comune punto di vista, con cui interpretare la relazione, l’educazione dei figli e la vita familiare in generale.
Tra i possibili arrangiamenti relazionali può accadere che uno dei due partner “indietreggi”, smussando o “silenziando” alcuni aspetti della propria identità, favorendo così il sistema valoriale dell’altro. In questo caso, l’obiettivo del professionista è valorizzare il contributo di ciascun partner, favorendo la sua partecipazione alla costruzione dell’armonia di coppia.
Un’ulteriore dimensione importante che ha impegnato la coppia sin dal suo formarsi è quella relativa all’idea che la famiglia d’origine del partner autoctono nutre nei confronti del partner migrante. Spesso infatti il partner italiano anticipa una reazione di rifiuto da parte della sua famiglia, la quale può nutrire timori ed idee che muovono tutte dalla un’unica premessa: l’intrinseca difficoltà e problematicità della relazione tra due persone di differente origine socio-culturale o religiosa. A questa premessa possono essere associate idee ancora più pregiudizievoli. Il rifiuto da parte della famiglia d’origine del partner può essere caratterizzato anche da un forte richiamo alla regola endogamica e da una forte attenzione al giudizio sociale. Tale rifiuto può a volte essere talmente duro da portare il figlio o la figlia ad una rottura dei legami.
Altre volte, è la dimensione transnazionale intrinseca all’esperienza del migrare che può essere foriera di tensioni. Rievocando il pensiero di Sayad (2002), il partner migrante può vivere un’esperienza in cui sentirsi “doppiamene assente”: nel paese di accoglienza si sente spaesato, non riconosciuto, solo; nel paese natio è invece fisicamente e simbolicamente assente, non è più parte di un microcosmo sociale conosciuto e familiare. Egli, schiacciato tra queste due dimensioni, cade in una profonda crisi esistenziale che mina la relazione di coppia.
Quando poi sulla scena compaiono i figli, il livello di complessità aumenta nuovamente, con la possibilità che le strategie e gli equilibri trovati fino ad allora risultino insufficienti a garantire la stabilità del legame, proprio per l’attivazione che questo cambiamento porta non solo nella coppia, ma nelle famiglie estese.
Chi fino a quel momento ha accettato le scelte della coppia con relativo distacco, può ora reclamare un maggiore coinvolgimento, sentirsi più coinvolto nelle scelte e farsi presente in modo più deciso in relazione ai bambini in arrivo. Due tra i temi più scottanti relativamente a questo argomento sono rappresentati dalla scelta della lingua e della religione.
In merito alla lingua, ogni genitore può scegliere di usare la propria lingua al fine di assicurare la trasmissione del proprio sistema culturale-valoriale. Questo permette la coesistenza di entrambi i background culturali, senza che nessuno dei due partner si sente relegato all’anonimato. Tuttavia, non sempre i partner scelgono la via del bilinguismo, e preferiscono adottare l’idioma della nazione in cui la famiglia vive. Questa scelta porta con sé il rischio che i figli non possano accedere all’universo culturale del genitore straniero, generando così una frattura che può causare diverse problematiche.
Anche le questioni legate alla religione appaiono spesso spinose. Il processo di trasmissione della propria fede può generare un conflitto relazionale apparentemente irrisolvibile. In una coppia cristiano-musulmana (lui musulmano, lei cristiana) ad esempio, è possibile che tra i due genitori non ci sia un accordo; tuttavia, è possibile identificare delle strategie per permettere ai figli di accedere ad entrambi gli universi religiosi, come permettendo loro di frequentare le rispettive comunità dei fedeli, o partecipare alle funzioni religiose, o leggere i testi sacri di riferimento.
Quella che apparentemente può essere vista come la soluzione “migliore” perché privilegiante la possibilità del figlio di scegliere il proprio orientamento religioso, o la propria lingua preferita, risulta connotabile in questo modo solo all’interno di un preciso assetto culturale, quello occidentale, che valorizza il tema della libertà individuale su quello dell’adesione alla tradizione.
Nel momento in cui la coppia sarà chiamata ad affrontare tale questione, non potrà che farlo all’interno di quel sistema di reciproche appartenenze ed assetti valoriali che caratterizzano il suo sistema esteso.
Sarà all’interno di questa rete di relazioni che la coppia mista dovrà mettersi in gioco per affrontare il proprio riassetto, dentro il quale ciascun partner si muove simultaneamente come membro della coppia, della propria famiglia e del proprio sistema culturale di appartenenza (rispetto al quale può avere una posizione anche critica o “eretica”, ma comunque composta con esso).
Ciò che emerge è quindi un quadro caratterizzato da una grande complessità intrinseca e dunque imprescindibile per l’operatore che voglia cimentarsi con essa, al quale occorrono strumenti teorici ed operativi adeguati a riconoscere e muoversi all’interno di tale realtà sempre più caratteristica della nostra società.
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