di Anna Angelucci
Cause, sintomatologia e decorso: sono questi gli aspetti salienti che occorre ricostruire quando si parla di malattie, e in particolare delle malattie infettive. Mettendoli in relazione tra loro e inserendoli nel contesto delle implicazioni mediche e sociali che ogni malattia porta con sé. Perché c’è un nesso che lega la disciplina più esatta della medicina, l’infettivologia, con l’antropologia. Ricchi e poveri, potenti e gente comune, orientali e occidentali: la malattia infettiva è il grande denominatore comune, originato prevalentemente dal dissesto degli ecosistemi. Che è oggi sotto i nostri occhi, se solo li aprissimo e guardassimo oltre il nostro piccolo orizzonte.
Siamo sconvolti per il Coronavirus, ma a causa di tanti nostri comportamenti irresponsabili “c’è da aspettarsi ancora altri cataclismi, caldo, tempeste, estati torride, maggiore siccità, altre inondazioni e più malattie”. A metterci in guardia con le sue parole non è lo pseudoesperto di turno, troppo spesso ‘fai da te’ come accade in Italia, bensì uno scienziato di fama internazionale, professore emerito di Medicina Tropicale, Microbiologia Medica e Epidemiologia in America, Africa, Asia, Europa, autore di un libro interessantissimo che già 22 anni fa ci raccontava la storia della diffusione di tante malattie infettive, delle diverse condizioni climatiche nelle ere geologiche, delle diverse condizioni sociali ed economiche, delle grandi migrazioni transcontinentali di uomini, parassiti e microbi.
In “Chi ha dato la pinta alla Santa Maria?” (Fioriti Editore 1998) Robert Desowitz descrive gli scambi epidemici avvenuti con i viaggi di esplorazione e di conquista e con le missioni militari, dalla sifilide dei marinai di Cristoforo Colombo alla Leishmania dei soldati americani impegnati in medio Oriente nell’operazione “Desert Storm”; ricostruisce le precarie condizioni sanitarie in cui, dal ratto bruno alle pulci e infine agli uomini, si diffuse nel 1348 Yersinia pestis, il bacillo della peste, e poi ancora nel XVII secolo in tutta Europa; ci rammenta che la più grande epidemia globale (pandemia) non fu una stravagante malattia esotica bensì l’influenza spagnola del 1918, che in poco tempo uccise 20 milioni di persone; e ancora, mette in relazione febbre gialla e schiavismo, malaria e colonialismo, fino al vaiolo, “diffuso nel Nuovo Mondo tramite i Gesuiti e il loro anelito di conversione”, che fece strage di Indiani Amerindi.
C’è una lunga storia di drammatici contagi tra vecchi e nuovi mondi, con conseguenze devastanti sui popoli, sulle loro aspettative e condizioni di vita e sulle loro economie. Quello che sta accadendo oggi non è una novità: dilaga una malattia sconosciuta, non particolarmente grave in assenza di altre patologie ma altamente contagiosa, che non conosce confini e ci riconferma con disarmante chiarezza che il mondo non è mai stato diviso in compartimenti stagni. Ma se un tempo gli agenti patogeni, con i loro ospiti animali e umani, rimanevano confinati in un ambiente geografico ristretto, oggi la circolazione di animali, uomini, eserciti, virus e malattie è davvero globale. E soprattutto è globale il danno che con il nostro scellerato intervento antropico stiamo producendo alla terra e a noi stessi, mentre tagliamo risorse ai sistemi sanitari pubblici e non finanziamo la ricerca di base perché non dà profitto immediato.
Desowitz ci ammonisce duramente, e noi, negli ultimi vent’anni, abbiamo, al contrario, peggiorato la situazione: “L’inquinamento atmosferico, causa dell’innalzamento della temperatura, deve essere fermato. La deforestazione deve essere arrestata. La povertà e il suo contrappunto, la cattiva salute, devono essere fermate. Ma, contro ogni logica, il genere umano deve dare ancora un calcio alle sue brutte abitudini. La popolazione mondiale continua a crescere e sarà di 9 miliardi di persone nel 2025. Ci sarà ancora più irrequietezza politica e terrorismo, forse ancor più di adesso. La negazione dei diritti civili costringerà ancor più gente, ancor più disperata, a fuggire dai propri paesi d’origine. Nel 1978 c’erano 5 milioni di rifugiati politici, nel 1992 ce n’erano 17 milioni. Raddoppiamo questo numero e avremo quello dei rifugiati per motivi economici. I livelli dell’anidride carbonica nell’atmosfera raddoppieranno entro il 2100 e il risultante effetto serra causerà un aumento della temperatura del globo di circa 3 o 4 gradi centigradi. Il ghiaccio si scioglierà, i mari si alzeranno e se tutto va secondo le previsioni qualcosa come il 15 o 20% delle zone costiere coltivabili e abitabili sarà sommerso dall’acqua [ … ] La nascita di una nuova malattia ha origine da un cambiamento di habitat che altera i comportamenti e le popolazioni degli animali, dei patogeni e degli artropodi che trasmettono la malattia. Se questi cambiamenti ecologico-epidemiologici continuano senza che vi venga posto rimedio, allora il XXI secolo sarà un gran brutto secolo per l’umanità”.
Il Coronavirus presto passerà, e non lascerà sul campo milioni di morti come è accaduto in passato. Gli strumenti di cura, di contenimento e di informazione sul contagio di cui disponiamo oggi ci aiutano ben più di quanto accadesse in passato. Ma le sue implicazioni sociali, politiche, economiche devono farci riflettere e indurci a un repentino cambio di passo. Vent’anni di tagli hanno messo il nostro sistema sanitario nazionale in ginocchio. Il numero chiuso all’università ha prodotto una cronica mancanza di medici. Le mancate assunzioni determinano gravi carenze del settore paramedico. Le esternalizzazioni causano sfruttamento dei lavoratori e sottodimensionamento del personale. Nel contempo, i conflitti di competenze tra Stato e Regioni causano provvedimenti incoerenti, contrastanti, contraddittori.
Se oggi serve, come afferma il Presidente del Consiglio, una struttura di gestione centralizzata di una situazione straordinaria, a maggior ragione è bene abbandonare immediatamente qualunque progetto di autonomia differenziata e rinsaldare le istituzioni che garantiscono un’efficace ed equa gestione ordinaria della vita sociale e politica del nostro Paese. E infine, come suggerisce Desowitz, dobbiamo abbandonare senza indugio e definitivamente un sistema produttivo catastrofico, basato sul consumo e sul profitto come se non ci fosse un domani, che produce ricchezza per pochi, povertà e insicurezza per molti, cambiamenti ecologici e malattie per tutti. Conoscere è prevenire, e soprattutto non perseverare negli errori del passato: in caso contrario, il Coronavirus ci avrà davvero fiaccato invano.
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