“Il caso sembrava aver risvegliato dubbi profondamente radicati a proposito della ricerca scientifica. Molte persone pensavano che fosse decisamente tempo che gli scienziati dessero delle risposte a quel pubblico che pagava gran parte delle loro spese, ed io pensai che costoro avessero ragione a chiedere maggiori spiegazioni. Comunque, altre persone consideravano Baltimore e Imanishi-Kari delle vittime, ingiustamente perseguitate da fanatici cacciatori di streghe che ignoravano il modo in cui funzionava la scienza. Il caso si trascinò per una decina d’anni, lasciandosi dietro carriere distrutte, aizzando i membri del Congresso contro gli scienziati, e generando sia vittime che carnefici”.
Così l’autore, Kevles, presenta il proprio libro “Il Caso Baltimore”, un testo dal valore storico ma scritto con i ritmi di un thriller. La vicenda ruota attorno a David Baltimore, enfant prodige della comunità scientifica americana e premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1975. Il libro di Kevles riguarda la sensibilità scientifica, necessaria per creare un ambiente dove la ricerca possa svolgersi nel migliore dei modi, ad un livello etico superiore anche grazie alla scrupolosità dei referee.
Un caso che dovrebbe far riflettere anche in Italia
Raggiunto l’apice della carriera, Baltimore cadde in disgrazia a causa di una presunta “frode scientifica”. A trascinarlo fu una sua collaboratrice, la biologa Thereza Imanishi-Kari, scienziata biomedica del M.I.T. La donna fu accusata di aver falsificato i dati della ricerca su cui Baltimore aveva basato un articolo pubblicato sulla rivista Cell. Essendo rimasto quindi coinvolto dal ciclone mediatico, Baltimore mise a repentaglio la sua carriera per difendere l’operato della collaboratrice. La vicenda scatenò i media e animò anche il Congresso americano, generando contraddizioni e dubbi a cui sembrava difficile dare risposta.
Il libro, pubblicato in Italia da Fioriti Editore, getta luce su uno dei più grandi scandali scientifici della storia americana. L’obiettivo prefissato è aiutare a distinguere, nella nebbia del caso mediatico, la verità. “Il caso Baltimore“, infatti, rivela come tutto sia nato da un eccesso di interpretazione nell’osservazione dei dati, scambiato invece per una condotta scorretta. La ricostruzione dovrebbe essere di particolare interesse anche per altri paesi che gioverebbero della discussione della deontologia scientifica.
Il riferimento è proprio all’Italia. Nel nostro paese tali questioni non dovrebbero apparire irrilevanti qualora si volesse costruire un sempre più necessario contenitore etico capace di ospitare un fondato dibattito scientifico che non lasci spazio a infinite dietrologie.
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