Anna Angelucci, Le “due educazioni”: insegnare lingua e letteratura a scuola, Giovanni Fioriti Editore, Roma 2022, pp. 273
recensione di Emanuele Amarisse
Cosa accade oggi a scuola nell’ora di italiano? In che modo è agito nelle classi troppo affollate uno spazio linguistico e letterario sempre più marginalizzato da una diversa educazione all’immaginario, che preme sulla parola orale o scritta con le sue istanze culturali e ideologiche?
Al cospetto di una disciplina che è diventata, per disordinata giustapposizione, una somma di attività irrelate – l’ora di antologia, l’ora di grammatica, l’ora di scrittura, l’ora di lettura, l’ora di addestramento ai test Invalsi (sic!) – in cui sono perlopiù i libri di testo a declinare le modalità di accesso al sapere, quali percorsi, quali scelte, quali pratiche didattiche possono indicare a insegnanti e studenti una direzione per riconquistare alla letteratura e alla sua lingua un possibile orizzonte di senso?
La riflessione contenuta nelle pagine di “Le ‘due educazioni’: insegnare lingua e letteratura a scuola“, scritto da una docente di italiano con più di trent’anni di esperienza di insegnamento nella scuola secondaria, si articola in tre parti. Nel primo capitolo viene ricostruito il percorso che, a partire dalla metà degli anni Settanta, ha separato a scuola l’educazione linguistica e l’educazione letteraria, sulla scorta delle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica di Tullio De Mauro e del GISCEL, che misero fortemente in discussione l’impianto didattico tradizionale, considerato responsabile di una scuola classista e escludente, e inaugurarono la lunga stagione di un’educazione alla lingua che si è creduta democratica perché “liberata” dalla letteratura.
Negli stessi anni, sui testi letterari proposti dalle antologie scolastiche cadeva la mannaia della narratologia, definita in vecchiaia da uno dei suoi fondatori, Gerard Genette, “una pseudoscienza perniciosa, il cui gergo ha indotto disgusto per la letteratura in tutta una generazione di analfabeti” (p. 37). Un modello che nel proporre la centralità del testo come oggetto da conoscere formalmente, contemporaneamente ne negava ogni possibilità soggettiva di interpretazione. E che dunque appare oggi destinato a intercettare, rafforzandosi, quell’ideologia dell’oggettività della conoscenza su cui nell’ultimo ventennio si è edificata la razionalità neoliberista delle competenze.
Nel secondo capitolo, il rapporto tra lingua e letteratura viene esplorato dentro e fuori la scuola, tra lingua e letteratura e “teoria della mente” e tra lingua e letteratura e nuovi media. Nell’incrocio tra letteratura e scienze cognitive, l’atto linguistico della narrazione assume un forte valore epistemico sotto il profilo evoluzionistico e nel confronto con le nuove forme espressive dei media digitali prende sempre più consistenza il sospetto della perdita del pensiero simbolico, ovvero della dimensione specifica e unica del nostro essere Homo sapiens. Cosa succederà quando, a breve, queste nuove forme espressive avranno sostituito totalmente il tradizionale pensiero analogico e con l’intelligenza artificiale l’ibridazione uomo-macchina sarà completata?
Sotto questo profilo, l’ora di italiano rappresenta un irrinunciabile fattore di protezione per le giovani generazioni. La posta in gioco, ci spiega l’Autrice, non è semplicemente il dispiegarsi di un’attività didattica che parte dalla semplice acquisizione di un’abilità di base nella scuola primaria per poi affinarsi attraverso l’insegnamento della letteratura nel prosieguo dei percorsi d’istruzione: insegnare a leggere a scuola, e in particolar modo insegnare a leggere la letteratura, significa insegnare a pensare in modo ipotetico, critico, riflessivo, inferenziale, immaginativo, provvisorio, plurale, ma sempre relazionale e progettuale, nella convinzione, irrinunciabilmente umanistica, che la letteratura esprima “nulla di più ma anche nulla di meno di un momento di una educazione e comprensione generale della specie umana, del suo percorso nella storia e della esistenza di ognuno in quella” (p. 125).
Per questo, come ci spiega bene all’inizio della parte conclusiva del suo libro, l’insegnamento dell’italiano nell’ultimo segmento dell’obbligo di istruzione non può assolutamente essere distinto in un’offerta culturale di qualità superiore per gli studenti dei licei e inferiore per i loro coetanei dei tecnici e dei professionali, dovendo, al contrario, nutrire un curriculum e un sillabo ugualmente ricco per tutti, nella classe di qualunque indirizzo di studi sempre intesa come comunità ermeneutica.
È a questa classe che, infine, l’Autrice offre il suo specimen antologico. Una scelta di brani letterari (in prosa e in versi) e di testi non letterari ad essi correlati, che ampliano come convergenze alcuni dei temi affrontati, che possono offrire una possibilità concreta per una prassi educativa capace di indurre, accanto all’esperienza estetica, un percorso di significazione etica, attraverso molteplici livelli di conoscenza: linguistica, espressiva, psicologica, storica, antropologica. E di restituire, nell’ora di italiano, quel sapere teorico, astratto, immaginifico e vero con cui la letteratura umanizza la vita.
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