Nel momento in cui stiamo tutti sperimentando la condizione dell’isolamento e del distanziamento sociale, riflettere sull’importanza e sul significato della relazione appare davvero cruciale. Anche sotto il profilo terapeutico, indagando i nessi e le implicazioni che agiscono, dinamicamente, nell’incontro tra tecniche e contesto clinico.
“La relazione terapeutica in terapia cognitivo-comportamentale” è scritto da autori di spicco nel panorama della terapia cognitivo-comportamentale (CBT). Il testo, ricco di concetti innovativi e indicazioni cliniche accompagnate da dettagliati casi di studio, mostra come massimizzare la potenza della terapia utilizzando la relazione come agente di cambiamento. Infatti, una sana relazione terapeutica, aspetto sottovalutato dalla letteratura professionale, è l’ingrediente fondamentale della buona riuscita di una CBT. I professionisti vengono guidati nell’arricchimento del proprio lavoro clinico, nel potenziamento degli esiti di trattamento e nella risoluzione delle impasse terapeutiche.
Partire dalla relazione terapeutica
“La bussola della saggezza clinica spesso ci indirizza in una direzione che potrebbe apparire in contrasto con ciò che ci suggerisce l’istinto”, scrivono gli autori del libro, Kazantzis, Dattilio e Dobson. “A tal proposito, la ricerca ha tentato di quantificare i diversi aspetti di “tecnica” e “relazione”. Ciò ha condotto a una diatriba di lunga data sui meriti dei fattori che risultano comuni alle varie psicoterapie (ovvero gli aspetti relazionali) e delle tecniche specifiche per ciascun modello terapeutico. Una tecnica non spunta fuori all’improvviso, applicandosi spontaneamente al paziente. A eccezione di rari casi in cui il paziente si affida all’auto-terapia, le tecniche cognitivo-comportamentali sono strettamente correlate alla relazione terapeutica.
In effetti, si potrebbe dire che la CBT stessa costituisce una relazione in virtù dell’enfasi che pone sulla collaborazione. Soltanto perché possiamo assumere la variabilità in un elemento relazionale e la frequenza delle tecniche come indicatori di esito, non possiamo presumere che ciò traduca effettivamente il modo in cui opera la CBT in un contesto clinico. La relazione tra terapeuta e paziente è ciò che stimola il processo. Se gli assunti teorici che guidano l’applicazione dell’analisi dei dati presentano problemi di base, allora li avranno anche i risultati che essa produce”.
Trasformazione a piccoli passi
Il libro, pubblicato da Giovanni Fioriti Editore, sottolinea l’importanza di attuare una trasformazione “a piccoli passi” delle vite dei pazienti. Questi devono essere guidati, consapevoli che non esistono rimedi validi per ogni situazione o in grado di dare immediatamente risultati. “I pazienti vorrebbero sentirsi dire che esiste un modo semplice per ridurre la loro sofferenza. Molti sono alla ricerca della bacchetta magica o della panacea in grado di risolvere tutti i problemi che li affliggono. Vari libri di psicologia popolare offrono idee di cambiamento ipersemplificate che destano un’attrazione immediata ma che, paradossalmente, lasciano gli individui ancor più angosciati giacché essi non sembrano in grado di compiere quella rapida trasformazione che potrebbe “dare una svolta alla vita” o di apprendere il “pensiero positivo” o altre follie del genere.
Quindi, sapere che anche piccoli cambiamenti funzionali, supportati da professionisti esperti e competenti, possono fare la differenza nelle loro vite è spesso una buona notizia per i pazienti, ma la soluzione rapida è una rarità e una buona terapia richiede tempo. Gli interventi focalizzati sul comportamento possono rivolgersi esplicitamente a una serie di sintomi emotivi (come la scarsa motivazione, la tristezza, la rabbia, il senso di colpa, la paura, la perdita di piacere), fisiologici (come la scarsa energia e la “fatigue”), funzionali (dove rientrano la scarsa produttività e l’evitamento) e cognitivi (ovvero la ruminazione, la bassa autostima o la scarsa autoefficacia percepita). A seconda delle caratteristiche o preferenze del paziente, il terapeuta può quindi scegliere di concentrare la maggior parte degli interventi sui sintomi o fattori comportamentali di un disturbo”.
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