Se la psichiatria biologica ha fallito nel riconoscere le origini dei disturbi psichiatrici e nell’ottimizzare il loro trattamento è a causa della sua obsoleta concezione della biologia umana.
A dichiararlo nell’editoriale Biological psychiatry is dead, long live biological psychiatry!, pubblicato in open access sulla rivista Clinical Neuropsychiatry, è Alfonso Troisi, professore di Psichiatria presso la Scuola Internazionale di Medicina dell’Università di Roma Tor Vergata. Esperto in materia, il prof. Troisi ha concentrato il suo lavoro sull’applicazione delle scienze evolutive allo studio del comportamento umano e dei disturbi mentali.
A riassumere l’ascesa e il declino della psichiatria biologica, riporta Troisi, sono le parole di due storici come Edward Shorter e Anne Harrington. Il primo, in A History of Psychiatry (1998), affermò: “Il successo strepitoso dell’approccio biologico alla psichiatria – trattare la malattia mentale come un disturbo della chimica cerebrale influenzato geneticamente” – era “la realtà intellettuale centrale alla fine del XX secolo”.
Poco più di vent’anni dopo, invece, Anne Harrington ha aggiunto che “è diventato sempre più chiaro al grande pubblico che [la psichiatria biologica] si è spinta troppo in là, ha fatto troppe promesse, ha fatto troppe diagnosi, ha curato troppo e compromesso i propri principi”.
Anche altri leader dell’establishment psichiatrico si sono espressi in termini critici nei confronti della psichiatria biologica, come il neuroscienziato ed ex direttore dell’NIMH Thomas Insel: “Ho trascorso 13 anni all’NIMH spingendo sulle neuroscienze e sulla genetica dei disturbi mentali, e quando mi guardo indietro mi rendo conto che, pur ritenendo di aver fatto pubblicare molte ricerche davvero interessanti effettuate da scienziati interessanti a costi piuttosto elevati (credo 20 miliardi di dollari) non penso che siamo riusciti a spostare l’ago della bilancia nella riduzione dei suicidi e dei ricoveri o nel migliorare il recupero delle decine di milioni di persone affette da disturbi mentali”.
E’ necessaria una nuova cornice teorica
Secondo Troisi, è necessario un nuovo quadro teorico basato sull’integrazione di spiegazioni funzionali ed evolutive per rivitalizzare il campo paralizzato della psichiatria biologica. La sua crisi dipende dalla sua identificazione con la biologia funzionale. Un grande contributo della biologia evoluzionistica è quello di integrare lo studio delle variabili ambientali (sviluppo, interpersonali ed ecologiche) con i meccanismi della biologia funzionale (genetica, anatomia e fisiologia). Il focus della biologia evoluzionista su singoli adattamenti è la ragione per cui le variabili organiche e psicosociali sono viste come fattori costantemente coinvolti in complesse interazioni e non come fattori appartenenti ad aree di ricerca distinte.
Molte debolezze cliniche e della ricerca della psichiatria contemporanea (ad esempio, nosografia invalida, limitata comprensione dell’eziologia e della patogenesi, trattamenti scarsamente efficaci) sono causati dalla fuorviante interpretazione di cosa sia la biologia dei disturbi psichiatrici. Questo non significa rifiutare tutte le scoperte della psichiatria biologica come è compresa attualmente. Ma, piuttosto, Troisi propone di abbracciare una nuova cornice teorica basata sull’integrazione di spiegazioni funzionali ed evolutive. Tale integrazione ha le potenzialità di rivitalizzare la psichiatria biologica.
Clinical Neuropsychiatry
Clinical Neuropsychiatry nel 2022 ha raggiunto il primo quartile della classifica Scopus Scimago, confermandosi così la rivista scientifica italiana con il più alto Cite Score nel campo della medicina e della psichiatria, ma entrando nel top 25% delle riviste più apprezzate dell’intero panorama mondiale. È sorprendente vedere una bandiera italiana tra i top player dell’editoria scientifica internazionale.
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