Osservare i ricercatori trarre diverse conclusioni seppur utilizzando gli stessi dati rivela l’
incertezza che può nascondersi dietro gli studi scientifici. A rivelarlo, confermarlo, sono
Breznau e colleghi, che hanno notato come le conclusioni a cui giungevano 161 ricercatori e 73 gruppi di ricerca indipendenti, nonostante usassero gli stessi dati di partenza, invece di convergere sono risultate molto diverse tra loro. Come affermano gli stessi autori dello studio: “Le scelte fatte dai team di ricerca nella progettazione dei test statistici spiegano poco la variabilità delle conclusioni […]. Questo dovrebbe indurre gli scienziati […] a essere umili e a tenere conto dell’incertezza nel loro lavoro”.
Spesso, infatti, le competenze, i pregiudizi e le aspettative dei ricercatori possono condizionare l’interpretazione del loro lavoro, che può risentire di una miriade di variabili impossibile da elencare. L’oggetto degli studi osservati da Breznau era il rapporto tra immigrazione e politiche sociali, ma sarebbe importante tener conto di tale incertezza anche in altri campi. Soprattutto in uno delicato come quello della medicina e della salute, dove però, paradossalmente, ammettere l’incertezza è spesso una prassi bandita.
Il caso della mammografia
Ad esempio, nell’opinione pubblica è radicata l’idea che sia imprescindibile, per ogni donna sopra i quarant’anni, sottoporsi annualmente a una mammografia. Ma quali sono i rischi e le percentuali di falsi positivi dello screening mammografico? Quanto è davvero necessario sottoporsi all’esame ogni singolo anno per determinate fasce d’età?
La mammografia, infatti, può nascondere insidie di cui le donne che non hanno avvertito alcun nodulo al seno dovrebbero essere consapevoli, mentre quelle che lo hanno fatto dovrebbero contattare immediatamente il medico e, se richiesto, sottoporsi all’esame.
A causa dell’elevata percentuale di
falsi positivi dovuti allo screening mammografico, tantissime donne di età inferiore ai 50 anni si sottopongono a una biopsia. Questa, però, in 8 casi su 10 rivela l’assenza di cancro. Ciò significa che le pazienti hanno trascorso giorni e settimane terrorizzate senza un vero fondamento. Chi ritiene che le mammografie, seppure responsabili di un eccesso di diagnosi, siano meglio di niente, ignora tuttavia il danno, sia fisico che psicologico, derivante dalla diagnosi falso positive.
In base a diversi dati e studi clinici, si è discusso se le donne di età compresa tra 50 e 74 anni non dovessero più fare le mammografie ogni anno, bensì ogni due anni. Il numero di vite salvate dalla mammografia annuale non è infatti sostanzialmente diverso se l’esame è annuale o biennale. Così facendo, tuttavia, si ridurrebbero i falsi positivi di circa la metà.
Una palla di neve nella tormenta
Steven Hatch, con “Una palla di neve nella tormenta”, pubblicato da Fioriti Editore, mette in luce l’incertezza alla base di molte diagnosi e prognosi pronunciate dai medici. Rilevando come considerare l’incertezza possa diventare un punto di forza anziché di debolezza nella pratica medica. Perché la medicina, così come tutta la scienza, come messo in luce dallo studio di Breznau et al., per progredire deve continuamente mettere in discussione se stessa, proprio a partire dalle certezze acquisite.
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