L’Italia e il mondo hanno guardato con ammirazione i sacrifici effettuati da medici, infermieri e personale sanitario in generale durante l’emergenza sanitaria causata dal coronavirus. Ogni giorno, affacciati sui davanzali delle proprie abitazioni, tantissimi hanno applaudito questi uomini e queste donne che hanno sostenuto il paese in ginocchio. Tuttavia, anche in periodi meno critici di quello che abbiamo purtroppo conosciuto negli ultimi mesi, il personale sanitario affronta problemi quotidiani sul luogo lavorativo.
Le aggressioni sul luogo di lavoro sono un problema di salute pubblica riconosciuto a livello internazionale. A rimanerne spesso vittima sono proprio gli operatori sanitari, come medici e infermieri, questi ultimi in particolar modo. Nello studio pubblicato sulla rivista scientifica Clinical Neuropsychiatry, Linda Franchini e colleghi hanno osservato due unità esposte a comportamenti aggressivi al San Raffaele di Milano.
Le aggressioni sono “parte del lavoro” di medici e infermieri?
Attraverso un’intervista a 55 operatori del reparto di riabilitazione psichiatrica e neurologica, lo studio ha raccolto dati su aggressioni subite o osservate. Gli autori hanno raccolto luogo, data, metodo, causa presunta e impatto psicologico e/o fisico dell’aggressione. I risultati sono sorprendenti. Addirittura l’85% degli operatori avrebbe sofferto un qualche tipo di aggressione, mentre l’80% avrebbe assistito a un’altra forma di violenza, specialmente non fisica. Il 78,7% non ha riportato trauma emotivo, mentre nel 21,3% dei casi sono state causate ferite corporee. I comportamenti aggressivi collegati alle patologie dei pazienti risultavano più facilmente tollerati dalle vittime. Secondo queste, l’interazione tra gli aspetti psicopatologici e le dinamiche ambientali aumenterebbe i rischi di un comportamento aggressivo. L’81% degli operatori intervistati riteneva di essere capace di gestire l’aggressività dei pazienti grazie alle precedenti esperienze, più utili della formazione ricevuta.
Franchini e colleghi affermano quindi l’alta percentuale di aggressioni subite o assistite dal personale sanitario, e la loro tendenza a considerarle “parte del lavoro“. Considerando anche le testimonianze degli operatori, che ritengono l’esperienza sul campo più efficace della formazione, secondo gli autori dello studio bisognerebbe potenziare quest’ultima per formare personale capace di riconoscere immediatamente possibili eventi aggressivi ed elaborare strategie comunicative e tecniche per disinnescarli.
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