di Anna Angelucci
Nei confronti del medico abbiamo tutti un atteggiamento reverenziale. Gli affidiamo il nostro corpo, la nostra salute, la nostra vita o quella dei nostri cari, e crediamo fermamente che saprà decidere ciò che è meglio per noi.
Diamo inoltre per scontato che sappia molto meglio di noi cosa è necessario fare per curarci, a quali accertamenti diagnostici sottoporci, quali farmaci somministrarci.
Naturalmente tutto questo è assolutamente legittimo. Condividiamo il presupposto che una lunga formazione universitaria insieme alla pratica clinica forniscano conoscenze e competenze adeguate. Anni di studio e di esperienza, insomma, autorizzano il medico a prendere decisioni per noi e per la nostra salute.
Questo tuttavia non giustifica il nostro atteggiamento passivo, la nostra posizione subalterna nei confronti di una sapere e di una capacità di scelta che possono anche essere condizionati da molti elementi esterni. Essere malati non significa necessariamente non essere più responsabili della nostra vita. Al contrario, dobbiamo fare uno sforzo ulteriore per capire quello che ci sta accadendo, per sapere se la cura che ci viene proposta è quella giusta, per condividere con il medico pratiche di guarigione davvero efficaci.
Sembra impossibile ma non lo è. Anche il medico più esperto può essere fuorviato dalle sue abitudini consolidate, da comportamenti routinari, da una scarsa conoscenza dei risvolti degli esami diagnostici, da eccessiva fiducia nella loro oggettività e accuratezza, dalla difficoltà nella gestione delle proprie incertezze. Dunque, se abbiamo a cuore la nostra salute dobbiamo essere in grado anche di mettere in discussioni le diagnosi, esprimendo dubbi e chiedendo perché, ma soprattutto cercando le prove da soli. Come ci insegna a fare Peter Gotzsche – medico, docente universitario, esperto in studi clinici randomizzati controllati, revisioni sistematiche e metanalisi – autore del libro “Sopravvivere in un mondo ipermedicalizzato” (Giovanni Fioriti Editore, 2019):
“’Il medico mi ha detto che avevo…’ . Forse lo ha fatto ma la diagnosi potrebbe essere sbagliata. I pazienti raramente mettono in discussione la diagnosi e, sebbene i medici sappiano qualcosa dell’incertezza diagnostica, sono molto più fiduciosi delle loro diagnosi di quanto non dovrebbero essere. Studi scientifici hanno regolarmente mostrato che le diagnosi sono molto più inaffidabili di quanto i medici capiscano, in particolare in psichiatria. Poiché una diagnosi di solito porta al trattamento, è dannoso fare una diagnosi sbagliata. Se i pazienti vengono trattati per qualcosa che non hanno, è probabile che saranno danneggiati”.
Cominciamo a domandarci se gli esami diagnostici e gli screening cui ci sottopongono sono davvero necessari, se i farmaci che ci prescrivono sono davvero indispensabili. Cominciamo a pensare che forse il medico non ha sempre ragione, che ha volte le sue indicazioni possono dipendere da fattori esterni e che possono essere messe in discussione. A volte si tratta di ricerche scientifiche sbagliate, a volte di pressioni regolatorie, a volte di vera e propria corruzione. Sono molti, del resto, gli interessi economici che si muovono con l’industria sanitaria e farmaceutica.
Come pazienti, possiamo avere altre opzioni. E’ nostro interesse attrezzarci per trovare la strada più giusta.