di Anna Angelucci
Oggi sono entrata in classe, è stato il primo giorno di scuola per me e per i miei studenti.
Nella prima liceo linguistico dove insegno italiano, latino, storia, geografia ed educazione civica, nella succursale di un prestigioso liceo del centro di Roma, ho trovato 32 alunni, uno dei quali affetto da una grave sindrome dello spettro autistico. Insieme a me e ai miei colleghi delle diverse discipline ci sono il docente di sostegno e l’assistente specializzato, per coadiuvare l’attività didattica dell’intera classe.
Siamo tanti, in una classe di preadolescenti necessariamente separati tra loro e con le mascherine, domani e nei giorni a venire. Troppi, per garantire un distanziamento fisico che non escluda relazione affettiva, qualità pedagogica, inclusione, ascolto, dialogo, attenzione ai bisogni educativi speciali di cui ciascuno di loro – ripeto, ciascuno di loro – è, con diverse gradazioni e mille sfumature, portatore.
Il metro di distanza è assicurato, ministro, i banchi sono singoli e situati in uno spazio ampio. Poco importa se io non arriverò a sentire chi sta seduto nelle ultime file o se loro non riusciranno a vedere cosa scriverò alla lavagna, se pure luminosa; poco importa se una delle mie alunne ha davanti al banco un pezzo di muro che non si poteva abbattere. La contabilità del centimetro per le postazioni è garantita, come se ormai la scuola in presenza si riducesse solo a questo.
Ministro Bianchi, non scriverò il nome della mia scuola, peraltro per lei facilmente accessibile. Non solo per il rispetto della nostra privacy qui e ora, ma perché considero questo caso specifico come emblematico ed esemplare di quel 2,9% di classi non a norma che lei citava nelle sue interviste ai giornali pochi giorni fa e che non dovrebbe esserci. Il 2,9% di classi con un numero di studenti superiore al tetto massimo fissato dalla legge.
Non sono poche, ministro Bianchi. Sono tantissime. Sono circa quattordicimila classi, distribuite in quasi duemila scuole italiane. A spanne, fanno più o meno quattrocentomila studenti stipati in classi pollaio, signor Ministro, o, come preferisce dire lei, “classi sovraffollate”. Oppure, ancor più gentilmente, “classi piccionaia”, se vogliamo evocare il musicale cinguettio di una voliera da cartone animato, mentre si tratta della condizione brutale di tante creature piccole, piccoli esseri umani, bambini e adolescenti, inzeppati nelle aule delle nostre vecchie e brutte scuole solo per risparmiare denaro, nonostante la costitutiva fragilità anagrafica, psicologica e spesso anche medica che li accompagna.
In questo caso – come in tutti gli altri casi verificatisi nelle nostre scuole quando i dirigenti scolastici hanno cominciato a comporre le classi dovendole far quadrare con il numero degli iscritti anche a prescindere dai casi di disabilità certificata, anche a prescindere dalle condizioni di svantaggio dei territori, anche a prescindere da tutte le indicazioni psico-pedagogiche e didattiche di puro buon senso – sembra che non ci fosse niente da fare: l’alternativa era respingere le iscrizioni, ancorché si tratti della fascia dell’obbligo scolastico. Tutte le autorità interpellate hanno negato la possibilità di uno sdoppiamento in due prime, una da 15 alunni con lo studente disabile, una da 17 alunni: due classi in cui si potrebbe insegnare e imparare ottimamente, in un istituto che ha aule per ospitarle.
La legge non prevede che si possa scendere al di sotto di un numero minimo di alunni per classi, certo. Lo sappiamo. Si tratta di quell’“economia di spesa” che, dai malaugurati tempi dei tagli draconiani alla scuola dei ministri Tremonti e Gelmini, sta falcidiando la vita di questa istituzione e, con essa, del nostro Paese.
Ma la legge non prevede neppure che quel numero superi il tetto massimo fissato, Ministro Bianchi: 20 alunni in presenza di un alunno con disabilità grave, e 27 in tutti gli altri casi, al netto di una possibile deroga del 10%. Questa classe con 32 studenti di cui uno affetto da un significativo disturbo dello sviluppo, una classe e uno studente che hanno bisogno di un’accoglienza speciale, di un clima adeguato, di attenzione, di cura, di relazione individuale, di sguardi congiunti e di reale possibilità di ascolto, è affollata contro ogni ragionevole deroga. E’ pedagogicamente e didatticamente inaccettabile. E’ umanamente insopportabile, perché nega a tutti bisogni umani insopprimibili, prima ancora che i bisogni educativi speciali dei più svantaggiati. E soprattutto, ministro Bianchi, è illegale, così come sono illegali le quattordicimila classi pollaio distribuite nel nostro Paese, che calpestano i diritti di quei bambini e di quegli adolescenti.
Provveda subito, ministro Bianchi. Non solo in questo caso, ma in tutti. Dove ci sono disabilità e dove non ci sono, perché in una classe pollaio le disabilità “funzionali” che non vengono certificate dai medici in entrata saranno prodotte dalla scuola stessa in uscita. Lo può fare e avrebbe dovuto già averlo fatto, ci fosse stata anche solo una classe troppo numerosa in tutta Italia. Senza aspettare ancora, ministro Bianchi, perché non c’è mai stato tanto bisogno come ora (e non occorre certo che ne spieghi le ragioni) di una scuola giusta, in cui entrare ogni giorno con fiducia, a testimoniare la vita.