Negli ultimi tempi si è fatto un gran parlare di “pandemia dei non vaccinati”, come se una parte della nostra società stesse più o meno volontariamente alimentando la diffusione del coronavirus. Ma puntare il dito contro fantomatici untori, spesso senza avere un’idea davvero chiara della situazione, non può che provocare una grossolana generalizzazione e gratuita emarginazione. Un errore già troppe volte ripetuto in passato.
Il virus persiste, come dimostrato dal nuovo aumento di casi, ma non solo perché trasmesso dai non vaccinati. Come riporta Gunter Kampf nell’articolo pubblicato su The Lancet, intitolato “COVID-19: stigmatising the unvaccinated is not justified“, ci sono prove che dimostrano come anche i vaccinati abbiano un ruolo rilevante nella trasmissione di COVID-19.
Negli Stati Uniti, in Massachusetts, nell’arco di vari eventi tenuti nel mese di luglio, si sono verificati 469 nuovi casi. 346 di questi (74%) si riferivano a persone che avevano ricevuto almeno una dose di vaccino, e 274 (79%) erano sintomatici. Più generalmente, entro aprile negli Stati Uniti si sono verificati 10.262 casi di COVID-19 in persone vaccinate, di cui 2.725 asintomatiche, che hanno portato a 995 ricoveri e 160 decessi.
In Germania, il 55-4% dei casi sintomatici di COVID-19 in pazienti di 60 anni o più ci sono stati in persone che avevano avuto una vaccinazione completa, e questa percentuale aumenta ogni settimana.
Ciò dimostrerebbe che, sebbene i vaccinati abbiano un rischio minore di incorrere in sintomi gravi, sono ancora una parte rilevante nella diffusione della malattia. L’autore dell’articolo, quindi, si appella ai politici e agli scienziati per fermare la stigmatizzazione dei non vaccinati e fare uno sforzo in più per tenere la società coesa.
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