La regolare assunzione di psicofarmaci è pericolosa e sono ancora più pericolose le variazioni di dosaggio, comprese la riduzione e la sospensione di tali farmaci. Con “La sospensione degli psicofarmaci“, pubblicato da Fioriti Editore, lo psichiatra americano Peter Breggin presenta prove sui pericoli dell’uso a lungo termine degli psicofarmaci. Ma non si ferma qui. Infatti, fornisce anche una soluzione delineando un programma per aiutare il paziente a sospendere queste sostanze tossiche.
Il libro è una boccata d’aria fresca nel paradigma dominante nella psichiatria. Gli incentivi monetari da parte delle aziende farmaceutiche e le linee guida dell’assistenza sanitaria hanno individuato negli psicofarmaci la soluzione ai problemi di salute mentale. Breggin riafferma invece il primato della relazione. L’autore presenta infatti un approccio al trattamento centrato sulla persona e orientato alla relazione empatica. Riscopre quindi così la collaborazione tra il prescrittore, il terapeuta, il paziente e la famiglia o le sue persone vicine.
Gli psicofarmaci riducono la durata della vita
“I dati accumulati in anni di ricerca, dimostrano che gli antipsicotici riducono la durata della vita“, ha spiegato Breggin nel libro. “Uno studio recente ha dimostrato che questo non era collegato allo stile di vita dei pazienti con diagnosi di schizofrenia e che il rischio aumentava con il trattamento con più farmaci. Il tasso di mortalità nei gruppi esposti ai neurolettici aumentava drammaticamente quando erano aggiunti due o tre neurolettici. Questo è un altro avvertimento per il prescrittore a fare attenzione a ridurre il numero di farmaci somministrati al paziente.
Studi dimostrano inoltre che i pazienti diagnosticati con gravi malattie mentali hanno un’aspettativa di vita notevolmente minore, di circa 13,8 anni per i pazienti VA (Veteran Affairs, dipartimento dei veterani) e di 25 anni per i pazienti ospiti nelle strutture di accoglienza di salute mentale statali. Quasi tutti i pazienti diagnosticati come gravemente malati di mente nel VA e nelle strutture statali sono esposti per anni ai neurolettici, che senza dubbio contribuiscono fortemente alla riduzione della loro durata di vita.
I giovani di età compresa tra 20 e 34 anni in trattamento con antidepressivi andavano incontro a un aumento del tasso di mortalità quando assumevano anche antipsicotici o stabilizzatori dell’umore, a esclusione del litio”.
Un diverso approccio terapeutico volto alla guarigione
Secondo Breggin, “il terapeuta dovrebbe rispettare il fatto che il paziente in terapia farmacologica non si senta in grado di gestire emozioni intense”. E anche che “non desideri sovrastimolare le sue emozioni con la terapia psicodinamica”. Il terapeuta dovrà quindi essere in grado di rassicurare il paziente che la sospensione dei farmaci gli consentirà di gestire meglio le emozioni. Quindi, se il paziente
- esposto agli psicofarmaci si sente apatico e indifferente, dovrebbe essere rassicurato che questo offuscamento emotivo scomparirà con la riduzione del dosaggio.
- ritiene di avere alti e bassi emotivi è opportuno rassicurarlo che alla diminuzione delle dosi di farmaco seguirà una maggiore stabilità emotiva.
- non può distinguere tra i sentimenti che sembrano generati dall’astinenza e i sentimenti in risposta alla vita reale, è bene spiegare che ciò è normale e che le emozioni “reali” del paziente diventeranno più nitide con ulteriori riduzioni della dose.
- non si sente più “come prima” o “la stessa persona di prima” mentre sta assumendo psicofarmaci e nei primi momenti di riduzione della dose, è opportuno rassicurarlo che la sensazione di normalità tornerà con ulteriori riduzioni delle dosi.
- si affatica facilmente e si sento mentalmente rallentato, meno capace di concentrarsi e meno in grado di ricordare gli eventi di tutti i giorni, è opportuno ricordargli che le sostanze psicoattive causano questi effetti e che ci sarà un miglioramento con la riduzione della dose.
Man mano che i pazienti si liberano dal farmaco, i sintomi del CBI (malfunzionamento cerebrale cronico) possono diventare più evidenti e angoscianti. È necessario rassicurarli che il cervello può recuperare nel corso dei mesi e degli anni. La guarigione può essere molto più lenta rispetto alle lesioni non cerebrali, ma può progredire nel lungo termine e spesso raggiungere il recupero completo.”
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