di Alessia Segat, psicologa-psicoterapeuta
“Disturbi specifici (della relazione) di apprendimento. Un approccio ecologico alla didattica, alla diagnosi precoce e all’intervento sui DSA”, di Miriam Gandolfi e Attà Negri, rappresenta una preziosa voce fuori dal coro, offrendo un ribaltamento della prospettiva da cui osservare i DSA. Esplicitando i presupposti epistemologici da cui muove, aiuta il lettore a guadagnare il punto di vista dei piccoli.
Purtroppo sempre più spesso noi professionisti ci troviamo a dover aderire a protocolli considerati “scientifici” senza che venga spiegata la cornice metodologica che guida la raccolta dei dati e cosa si intenda per “evidence based” e approfondendo tali tematiche emerge che la logica politico-economica venga privilegiata rispetto a quella scientifica senza che questo venga reso esplicito.
Tale ambiguità non è esente da rischi.
Secondo la teoria posizionale proposta dagli autori, il corpo rappresenta il centro da cui il bambino parte per esplorare lo spazio e orientarsi nel mondo e solamente contestualizzando ogni comportamento nella cornice delle relazioni interpersonali in cui vive, si evita di scivolare in spiegazioni riduzionistiche, asettiche e “scorporate”, restituendo la ricchezza e la freschezza del modo in cui i bambini guardano il mondo.
Personalmente ho trovato molto importante la riflessione sulle conseguenze nel lungo termine che un approccio clinico riduzionista e miope ad aspetti contestuali possa avere nel corso della vita dei bambini.
Occorre che chi lavora con i bambini si interroghi profondamente sugli effetti che le diagnosi hanno a livello dei significati costruiti nel contesto famigliare e scolastico aiutando le famiglie e gli insegnati a sviluppare uno sguardo complesso e a trovare percorsi riabilitativi rispettosi delle differenze che non si limitino ad etichettare ed in tal modo limitare lo sviluppo del potenziale personale.
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