“Ritorno alla talking cure” di Maria Ilena Marozza, pubblicato da Giovanni Fioriti Editore, raccoglie scritti sulla psicoterapia analitica. Nel corso degli anni necessari ad elaborarli, profonde trasformazioni hanno attraversato il clima sociale e culturale. Di conseguenza, anche il modo di lavorare degli psicoterapeuti è mutato. Ha subito riconcettualizzazioni teoriche e riorganizzazioni pratiche su diversi livelli. Alla conclamata crisi della psicoanalisi ha corrisposto una crescita della ricerca di psicoterapie più vicine all’esigenza delle persone di comprendere il proprio disagio psichico.
La psicoanalisi ha quindi fatto fronte a diverse sfide, sia sul versante della sua organizzazione teoretica e scientifica, sia sul versante della sua operatività e opportunità clinica, sia su quello della sua offerta formativa come scuola di psicoterapia. Questo ha condotto a cercare risposte non convenzionali a domande radicali.
Modulazioni e rotture della paticità
Il modo di relazionarsi in psicoanalisi non è molto diverso da quello di qualsiasi altra interazione umana. Tuttavia, mantiene delle specificità. Lo psicoanalista rimane in silenzio e ascolta i pensieri e le emozioni dell’interlocutore per costituire un suolo comune. Porta con sé un bagaglio di conoscenze, ma è pronto “ad abbandonare il terreno noto delle nostre competenze a favore di una conoscenza in fieri, idiografica, basata sulla sensibilità e sull’implicazione personale, sulla disponibilità a lasciarsi toccare dall’estraneità e a rispondere a essa”.
Infine, sia lo psicoanalista che il paziente dovrebbero riconoscere come un valore imprescindibile il passaggio disorientante e doloroso attraverso situazioni critiche. L’angoscia è inevitabile in ogni trasformazione: “E’ là dove qualcosa s’infrange, si interrompe, là dove si genera un sentimento di inquietante estraneità che ci si mette ad ascoltare, a cercare d’intendere”.
Il circolo virtuoso tra comprendere e interpretare
La talking cure ci porta ai limiti del linguaggio stesso, a sostenere la pregnanza del silenzio, che conduce a interpretazioni radicate nell’esperienza patica.
Come scrive l’autrice, Maria Ilena Marozza, “in questo senso viene introdotta una dinamica virtuosa tra la naturalezza, fondata sull’empatia e sulla somiglianza, del comprendere e la laboriosità, fondata sull’ascolto e sulla differenza, dell’interpretare, senza creare gerarchie di valore, ma considerando ambedue le modalità come operazioni complementari e mutualmente generative di senso nella dinamica tra familiarità ed estraneità, da cui dipende la ricchezza apportata all’esistenza dalla possibilità di avvalersi di aperture su forme di vita differenti”.
La talking cure si formula quindi come arte di lavorare nel linguaggio con la capacità trasformativa che le parole assumono nel momento in cui vengono scambiate tra due interlocutori. Questi si avvalgono del loro “senso proprio”, condiviso nell’uso collettivo, e, specialmente, delle qualità espressive che circondano le parole, quali modulatori dell’affettività e della sensibilità individuale.
Leggete qui la prima parte dell’articolo: Ritorno alla talking cure, rispondere alle trasformazioni della psicoterapia
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