Può capitare che anche gli specialisti si chiedano come aiutare al meglio un paziente affetto da disturbo dello spettro della schizofrenia. Infatti, quest’ultimo potrebbe trascorrere il tempo nell’inattività, mancare di motivazione e di spinta alla socialità. Potrebbe non essere avvezzo a prendere l’iniziativa, non prendersi cura di sé e faticare sia ad esprimere che manifestare i propri sentimenti. Fortunatamente esiste una guida pratica dedicata alla riabilitazione dei sintomi della schizofrenia. Il riferimento è a “Rivisitare i sintomi negativi” di Hilary Mairs, pubblicato in Italia da Fioriti Editore. Ricco di spiegazioni alternative di natura biologica, psicologica, sociale e ambientale, il libro di Hilary Mairs esplora diverse strategie concrete capaci di migliorare tante vite. Ponendo enfasi sugli approcci cognitivo-comportamentali, “Rivisitare i sintomi negativi” costituisce un manuale essenziale per trattare gli aspetti più invalidanti dei disturbi dello spettro della schizofrenia.
Spiegazioni biologiche
Nel corso del libro, l’autrice si è soffermata sulle spiegazioni biologiche dietro il sorgere delle psicosi. Come spiega l’autrice: “dove sembra esserci un legame tra l’insorgenza di una riduzione dell’attività o dell’espressione di pensieri e sentimenti e una recente ricaduta o esacerbazione di altri aspetti della psicosi – sentire le voci, soffermarsi su preoccupazioni angoscianti, insolite, fuori dall’ordinario e così via – questo consente una discussione sull’impatto della psicosi e sull’eventuale necessità di un periodo di stop e convalescenza, come prima fase del percorso di recupero.
Si possono prendere in considerazione altri fattori biologici, se l’inizio dell’inattività è coinciso con l’introduzione o con la modifica della terapia farmacologica, in particolare, quando al paziente viene prescritta una terapia antipsicotica. Nei casi in cui la formulazione suggerisca che i farmaci possono spiegare i livelli ridotti di attività e/o di espressione, sarà giustificata una rivalutazione della terapia farmacologica da parte del medico curante. Sono state sviluppate diverse scale per valutare gli effetti collaterali dei farmaci e molte équipe ora le utilizzano regolarmente per monitorarli”.
Spiegazioni psicologiche
Tuttavia, oltre i fattori biologici, possono esserci anche ulteriori motivazioni alla base dello scaturire delle psicosi. Tra queste, come spiega Hilary Mairs, ci sono quelle psicologiche, che “si concentrano sulle influenze primarie di previsioni o pensieri automatici negativi ‘è inutile…’ e caratteristiche secondarie. Queste possono riguardare l’attivazione di voci angoscianti e/o critiche, risposte a eventi traumatici e timori di essere valutati dagli altri in modo negativo (ansia sociale). Laddove sembri che una spiegazione ragionevole per i ridotti livelli di interazione sociale del paziente (ad esempio) sia la paura di incrementare lo stress e di far insorgere le voci, o la preoccupazione che gli altri lo considerino diverso, strano e/o ansioso, può essere proficuo condurre un’ulteriore valutazione. Per questo, è possibile ricorrere a una serie di strumenti, sviluppati per rilevare se un paziente sia turbato dai sintomi positivi, se stia sperimentando stress post-traumatico, ansia sociale o depressione.”
La Behavioural Activation per trattare la schizofrenia
Tra i suggerimenti proposti dall’autrice per far fronte agli aspetti maggiormente invalidanti del disturbo, vi è la Behavioural Activation: “La BA per le psicosi si basa sulla teoria secondo la quale i livelli ridotti di espressione e attività inizialmente sono una risposta assolutamente comprensibile, una strategia di coping per gestire lo stress associato allo sviluppo della malattia. Ritrarsi da questo stress ed evitare situazioni che possono innescare ulteriore stress può essere altamente adattivo, almeno nel breve e medio periodo. In termini comportamentali, le riduzioni dell’espressione e dell’attività si rinforzano negativamente in quanto riducono la pressione e lo stress. Come abbiamo detto, questo può essere utile nel breve periodo ma, alla lunga, il ritiro riduce le opportunità di rinforzo positivo e aumenta i rischi di ulteriori problemi come la depressione, la demoralizzazione, l’insoddisfazione con e da parte di familiari e amici, nonché il rischio di un peggioramento della salute fisica.
Uno dei vantaggi di questo modo di pensare ai livelli ridotti di espressione e attività è che è molto “normalizzante”. Intrinseci a questa teoria sono i messaggi per cui non sorprende che i pazienti diventino inattivi, perché può ridurre l’esposizione allo stress. Tuttavia, nel lungo periodo, il ritiro porta a conseguenze negative per la salute del paziente, sia mentale che fisica. Allo stesso tempo, i livelli ridotti di espressione e attività sono associati a stress e angoscia per gli altri significativi, compresi amici e familiari.
Quindi, questa spiegazione può contrastare l’attribuzione dell’inattività alla pigrizia, sia da parte dei pazienti che di altre persone significative.”
Disponibile su Amazon
Facebook della Fioriti Editore
Instagram della Fioriti Editore
Twitter della Fioriti Editore