di Anna Angelucci
“Le tecnologie dell’educazione tengono il campo e si offrono come le vere pedagogie del nostro tempo. Sono efficaci, sono progressive, sono produttive e, così, stanno al passo con la cultura dell’Era Tecnologica. L’epistemologia, allora, cade in un cono d’ombra. E di fatto è caduta. Ma qui opera, per così dire, un feticismo della tecnica che nella cultura attuale è tutt’altro che scontato. Intorno al nesso ‘scienza/tecnica’ si deve continuare a riflettere. E ciò è possibile se ci si interroga su cosa è ‘scienza’ e su cosa è ‘tecnica’. Se ci si impegna, appunto, in una riflessione epistemologica a tutto campo. Allora l’epistemologia ritorna. E ritorna come sapere critico sulla scienza, sul suo valore, sulla sua funzione, anche sui suoi limiti (interni e esterni)”
Franco Cambi
Allo stato attuale, non possiamo fare previsioni certe di alcun genere sull’organizzazione del prossimo anno scolastico e accademico. Ma la ministra Azzolina, su pressione dei dirigenti scolastici firmatari di una lettera che ha contenuti e toni autoritari disonorevoli per l’intera categoria, ha creato un commissione di esperti di innovazione didattica e formazione. La priorità strategica dell’educazione digitale, già considerata improcrastinabile dalla ministra, e ora accelerata dalle condizioni di emergenza imposte dal coronavirus, sembra essere diventata l’obiettivo irrinunciabile di un cambiamento epocale, fondato sul paradigma della dematerializzazione della relazione educativa. Come spiega bene Giovanni Carosotti, c’è il rischio della strumentalizzazione del ricorso obbligato alla didattica a distanza per condizionare scelte politiche future, per la scuola e per l’università.
La posta in gioco è altissima, e non è solo la libertà di insegnamento garantita dalla Costituzione, pre-requisito di ogni libertà di apprendimento possibile: con la dematerializzazione della relazione educativa cambierà il nostro modo di abitare l’essere e il mondo. E’ il momento che si levino le voci dei filosofi, degli storici, dei letterati, dei matematici, dei fisici, dei giuristi, degli artisti, degli psicologi, degli scienziati: insieme, per un dialogo critico con le istituzioni e, se necessario, per fare da argine.
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L’epidemia di coronavirus, con l’esigenza urgente di assoluto contenimento del contagio, ha imposto in Italia interventi politici radicali, su cui sarà opportuno ragionare quanto prima con serietà e rigore, mettendo in campo dati certi, informazioni incontrovertibili e straordinarie capacità di analisi.
Chiusura di tutte le scuole e università, interruzione della stragrande maggioranza delle attività produttive, lock down dell’intera popolazione. Misure draconiane che si protraggono da settimane e che hanno prodotto – nell’immediato, ove possibile e per i più fortunati che non hanno perso il lavoro – il trasferimento di moltissime attività professionali on line, con tutte le risorse ma anche con le difficoltà e i limiti dell’ambiente digitale. Ai vantaggi della dematerializzazione in termini di operatività, erogazione di servizi o realizzazione di specifici processi produttivi si accompagnano anche criticità significative: quanto conta la presenza fisica, la relazione con l’altro, il dialogo sincronico, l’incontro di corpi e voci, nello svolgimento efficace e soddisfacente di qualunque lavoro?
Se questa domanda vale per tutti, a maggior ragione ha senso rispetto alla scuola e all’università, oggi chiamate dalla necessità della didattica a distanza a pratiche digitalizzate e telematiche che si vorrebbero rendere stabili anche per il futuro: è solo a partire da un’approfondita riflessione sugli aspetti peculiari dell’attività di insegnamento e dei modi dell’apprendimento che potremo delineare uno scenario sostenibile e condivisibile per il nostro sistema di istruzione e formazione.
Ad oggi, non abbiamo nessuna spiegazione scientifica univoca dell’evoluzione dell’epidemia da coronavirus. Medici, virologi, scienziati di tutto il mondo stanno facendo ipotesi più o meno accreditate ma ancora non conoscono né possono descrivere con certezza tutte le caratteristiche di questa malattia e del suo decorso. E non sono in grado di darci quelle indicazioni sicure di gestione sociale che Governo e Parlamento vorrebbero per legittimare le loro decisioni politiche.
Allo stato attuale, non possiamo fare previsioni certe di alcun genere sull’organizzazione del prossimo anno scolastico e accademico. Ma la ministra Azzolina, su pressione dei dirigenti scolastici firmatari di una lettera che ha contenuti e toni autoritari disonorevoli per l’intera categoria, ha creato un commissione di esperti di innovazione didattica e formazione. La priorità strategica dell’educazione digitale, già considerata improcrastinabile dalla ministra, e ora accelerata dalle condizioni di emergenza imposte dal coronavirus, sembra essere diventata l’obiettivo irrinunciabile di un cambiamento epocale, fondato sul paradigma della dematerializzazione della relazione educativa.
La didattica digitale, che trasforma la comunità educante in una comunità virtuale, implica un profondo cambiamento non solo degli strumenti, dei metodi, delle pratiche in cui si articolano i tradizionali processi di insegnamento e apprendimento in presenza, ma determina nel contempo processi sottostanti di formazione di nuovi abiti mentali, frame cognitivi, attitudini permanenti ancora del tutto sconosciuti nei loro effetti profondi. Non si tratta di dotare tutti gli studenti italiani di un computer, né di scegliere piattaforme o sistemi interattivi accessibili. Non si tratta di predisporre forme di didattica a distanza fruibili anche da chi ha disabilità o bisogni educativi speciali, né di formare rapidamente i docenti alla digital literacy, reimmaginando nel contempo un nuovo sistema di valutazione delle competenze digitali o delle soft skills. Lavorare in un ambiente di apprendimento definito non più dalla fisicità (dell’aula, dei libri, degli oggetti, dei corpi, della relazione) ma permeato dall’immaterialità delle nuove tecnologie informatiche, quali conseguenze potrà avere sulla formazione di creature piccole e adolescenti, esseri umani che crescono? Il digitale non è solo un insieme di strumenti, è una forma mentis: siamo sicuri che è questo che vogliamo, a scuola e all’università? Quattro esperti al ministero non sono in grado di considerarne attentamente tutte le implicazioni; possono soltanto indicare soluzioni che poi la politica, come sempre accade nei momenti di crisi, autoritariamente impone. Seppure in questo contesto d’emergenza, non dobbiamo rinunciare a interrogarci intorno al nesso scienza e tecnica, cultura e tecnica, conoscenza e tecnica.
La posta in gioco è altissima, e non è solo la libertà di insegnamento garantita dalla Costituzione, pre-requisito di ogni libertà di apprendimento possibile: con la dematerializzazione della relazione educativa cambierà il nostro modo di abitare l’essere e il mondo. E’ il momento che si levino le voci dei filosofi, degli storici, dei letterati, dei matematici, dei fisici, dei giuristi, degli artisti, degli psicologi, degli scienziati: insieme, per un dialogo critico con le istituzioni e, se necessario, per fare da argine.
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