Avv. Edoardo Fioriti,
Avvocato Civilista e Giuslavorista
Il datore di lavoro può ricorrere ad agenzie investigative per controllare l’attività dei propri dipendenti?
La risposta, non scontata a dire il vero, è sì. Ciò, tuttavia, a talune condizioni ed entro certi limiti.
Ed infatti, come noto, nonostante il vuoto normativo sul punto, l’orientamento prevalente della giurisprudenza ritiene legittimo il controllo da parte del datore di lavoro, condotto per mezzo di agenti qualificati, finalizzato alla verifica del compimento da parte del lavoratore di “atti illeciti” e purché non si traduca, esclusivamente, in una sostanziale verifica dell’attività lavorativa di quest’ultimo.
Nello specifico, il divieto di controllo c.d. “occulto” non opera quando il ricorso alle investigazioni private sia diretto all’accertamento di comportamenti che possono configurare condotte illecite (di qualsiasi natura) o anche solo il sospetto della loro realizzazione.
Tale tipologia di controllo, dunque, è consentita non solo quando l’illecito è stato già perpetrato, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che le condotte illecite siano in corso di esecuzione.
Le fattispecie più diffuse di ricorso alle investigazioni ritenute legittime dalla giurisprudenza sono inerenti:
– all’esercizio di attività extralavorativa svolta dal dipendente in violazione del divieto di concorrenza;
– all’uso improprio da parte del dipendente dei permessi ex art. 33 della legge n. 104/1992;
– ai comportamenti adottati dal dipendente durante la malattia, in riferimento a condotte extralavorative.
Da ultimo, giova precisare che, ai fini della legittimità dei controlli, è necessario che l’incarico alle agenzie sia conferito per iscritto e che l’attività di investigazione si svolga entro i limiti della normativa in materia di privacy e delle disposizioni del Codice penale, per concludersi in tempi ragionevoli.