di Laura Veneroni, psicologa clinica, psicoterapeuta
di Carlo Alfredo Clerici, ricercatore presso
Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia
dell’Università degli Studi di Milano
Popolazioni di ogni nazione e mondo scientifico sono ormai impegnati da lungo tempo a fronteggiare l’emergenza del Covid-19. Molti sforzi sono diretti verso problemi di natura pratica, in particolare evitare i contagi e ridurre la mortalità, in una quotidianità completamente sovvertita. Mentre è in atto la lotta contro la fase acuta della pandemia si cerca anche di prevedere le conseguenze di aspetti meno clamorosi ma i cui effetti potrebbero palesarsi a distanza.
Le misure di distanziamento sociale possono in generale avere effetti importanti sul benessere delle persone, ma, nello specifico, incidere ancora più pesantemente sui percorsi di chi – bambini o adolescente – attraverso la socializzazione, definisce se stesso e la propria identità.
Gli adolescenti hanno bisogni specifici distinti da quelli infantili o dell’età adulta, anche se molto spesso sono sovrapposti ora a quelli degli uni ora a quelli degli altri. Persino nell’ambito della cura di pazienti con malattie gravi come quelle oncologiche si è iniziato solo da pochi anni a considerare questa fascia di età come meritevole di attenzioni cliniche specifiche (Veneroni 2013; Magni 2016).
Anche in epoca di lockdown, gli adolescenti sono i grandi assenti. Si parla, per fortuna, di iniziative che riguardano il supporto online degli adulti, si danno indicazioni sulle attività in grado di dare sollievo ai bambini confinati in casa ed è stata concessa la possibilità di portare fuori i bambini per una passeggiata all’aperto nei dintorni di casa. Resta più limitata l’attenzione rivolta agli adolescenti che, da un giorno all’altro, si sono visti reclusi nelle proprie abitazioni e lontani da tutto ciò che in adolescenza permette di sostenere lo sviluppo. Ovviamente è doveroso che gli adolescenti siano obbligati a restare in casa in questo momento, come è chiesto al resto della popolazione. Ma nello stesso tempo è necessario avere consapevolezza dell’impegno e del paradosso che è loro richiesto; è imposto loro di rinunciare agli strumenti (come la socialità e la scuola) e ai momenti fondamentali che servono per costruire la loro identità e porre le basi del loro futuro.
L’adolescenza è un periodo delicato e complicato, caratterizzato da alcuni bisogni e sfide specifiche. Tra questi il bisogno di autonomia e separazione dai genitori, e di costruire una propria identità, attraverso nuove relazioni al di fuori da quelle familiari. A questo scopo sono fondamentali le possibilità di sperimentare se stessi al di fuori della famiglia e il gruppo dei pari.
Gli adolescenti sono molto gelosi dei propri spazi. Questo bisogno di intimità e di riservatezza, che alcuni genitori possono alcune volte guardare con sospetto, mette in luce il bisogno di costruire un’identità separata da quella dei genitori, cercare di rispondere alla domanda “chi sono io?” “che cosa voglio” “Che cosa mi rende felice?” “che cosa mi rende soddisfatto?” “Che cosa è giusto per me?” “Come posso piacermi e piacere in questo corpo che sta cambiando e che non riconosco più, che non sento che mi rappresenta più”? Queste domande mettono in luce il profondo cambiamento che l’adolescente sta vivendo, sia sul piano fisico, sia sul piano mentale. In questo momento dello sviluppo infatti a livello cognitivo si verifica il passaggio al pensiero operatorio formale in cui l’adolescente inizia a trarre conclusioni da pure ipotesi e non solo da osservazioni concrete, come succedeva nella fase immediatamente precedente del pensiero operatorio concreto. Questo fa sì che l’adolescente si senta potente nell’uso delle fantasie (ciò che può pensare è anche possibile) e che estenda la sfera della sua attività concettuale all’ipotetico, cioè al futuro, a ciò che è lontano nello spazio (mentre il bambino si occupa per lo più del presente).
Ed ecco il paradosso attuale. In questa sospensione del tempo e dello spazio, gli adolescenti sono inchiodati in spazi limitati e in un presente limitato e le fantasie sul futuro sono rese inefficaci dal protrarsi sempre uguale delle giornate, senza che si possa sapere quando terminerà questa sospensione.
Difficile e complicato investire nella scuola, che presuppone una forte speranza nel futuro perché ci si possa impegnare e si possa sostenere uno sforzo oggi per investire in scenari professionali e di vita che, forse, si concretizzeranno in un domani che è molto in là nel tempo e in soddisfazioni che non sono immediate.
I quotidiani e i telegiornali sottopongono ogni giorno alla nostra attenzione le questioni che riguardano il dibattito sul proseguimento dell’anno scolastico e sulle modalità per assicurare il passaggio alla classe successiva per tutti gli studenti. In questa operazione, la Cina è vista come un modello: oltre 220 milioni di bambini e adolescenti, 180 milioni di scuola primaria e secondaria e 46 milioni di scuola dell’infanzia sono rimasti a casa da scuola ma l’home schooling è stato una garanzia immediata, grazie alla capillare amministrazione cinese e all’enorme sforzo di scuole e insegnanti.
In questo sforzo, peraltro fondamentale, di salvaguardare la continuità scolastica, può non trovare adeguata considerazione un’altra serie di considerazioni che invece riguardano altri danni a lungo termine, questa volta psicofisici, che la forzata reclusione in casa può comportare.
In un articolo pubblicato su Lancet da un gruppo di medici del Children’s Medical Center di Shanghai si sottolinea come l’interazione tra i cambiamenti dello stile di vita e lo stress psicosociale causato dal confinamento in casa potrebbero avere effetti dannosi sulla salute fisica e mentale dei soggetti in crescita e instaurare un pericoloso circolo vizioso da cui potrebbe essere difficile uscire una volta terminato il lockdown (Wang, 2020).
In un lavoro di revisione (Usher 2020) sono stati esaminati studi sulla salute mentale durante l’isolamento da pandemia ed è emerso come tra i soggetti a maggiore rischio ci siano bambini e adolescenti. Anche in persone che prima non presentavano disturbi psichici, possono manifestarsi disturbi da stress acuto, irritabilità, insonnia, disagio emotivo, disturbi dell’umore, inclusi sintomi depressivi, paura e panico. E il rischio di disagio emotivo non si esaurisce con la fine dell’isolamento, ma prosegue anche dopo, con una serie di comportamenti che possono andare dall’ evitamento del contatto diretto con altre persone o gruppi di persone, alla riduzione delle attività sociali fino al mancato rientro alle occupazioni ordinarie.
Nelle situazioni in cui era presente un disagio psicologico già prima del lockdown, le conseguenze possono essere comprensibilmente ancora più rilevanti, con un inasprirsi della sintomatologia, venendo anche a mancare le ordinarie forme di supporto attive in epoca pre-Covid. Si consideri la situazione di molti adolescenti che, prima dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, presentavano un ritiro sociale, ragazzi e ragazze che rimanevano la maggior parte del tempo confinati nelle loro camere e che evitavano ogni forma di relazione reale privilegiando quelle virtuali mediate da uno schermo dello smartphone o da un monitor. A loro era diretta la grande preoccupazione dei genitori e delle strutture scolastiche, educative, psicologiche, e lo sforzo congiunto per promuovere la socialità contrastando l’isolamento. Si è verificato poi un rovesciamento di prospettive: è necessario adesso promuovere proprio quell’isolamento e quella solitudine da cui volevamo guarirli. Sono state chiuse tutte le strutture necessarie a promuovere la possibilità di stare insieme e di educare alla socialità e se da un lato l’uso del cellulare, dei social, dei nuovi mezzi che la tecnologia dispone per comunicare con l’esterno può essere certamente un aiuto per sostenere le relazioni, dall’altro un uso eccessivo può risultare in un ripiegamento su di sé e non un’apertura al mondo.
La psichiatria e le scienze psicologiche hanno sempre cercato prevalentemente spiegazioni intrapsichiche o biologiche alle manifestazioni del comportamento e spesso lasciato in secondo piano l’impatto di eventi collettivi (si veda ad esempio l’impatto delle guerre mondiali sulla salute psichica delle popolazioni). Questi effetti tra l’altro possono in larga parte sfuggire a metodi di indagine sociale o psicologica. Lavori pubblicati parlano di resilienza degli adolescenti durante l’epidemia Covid-19, ma la resilienza, che indica la capacità degli individui di affrontare anche le più gravi calamità attraverso un cambiamento positivo, è spesso un obiettivo da sostenere attraverso il supporto sociale, educativo, psicologico. In un momento in cui tutte queste risorse della società civile sono sospese, o almeno lo sono nelle forme tradizionali, è necessario ripensare a modalità per sostenere i ragazzi.
Sulla necessità di considerare e provvedere a situazioni gravemente compromesse dal punto di vista sociale ed economico, anche l’Unicef ha pubblicato linee guida e il Ministero dell’Istruzione, insieme alle iniziative delle associazioni e della società civile, sono impegnati per supplire alle mancanze della rete di protezione date dalla società in tempi normali (scuola, istituti educativi, oratori, gruppi sportivi, centri socio educativi e altro ancora).
Ma anche nelle famiglie apparentemente più serene e unite questo momento sta mettendo a dure prova i rapporti tra figli e genitori e il rapporto dei ragazzi con se stessi.
Tra poco si apriranno di nuovo le porte delle case e progressivamente anche gli adolescenti torneranno nel mondo. Sarà però un mondo molto diverso da quello che abbiamo lasciato, in cui l’obbligo a mantenere la distanza fisica e le precauzioni contro il contagio renderanno meno lineare e spontanea la socialità e le relazioni. E gli adolescenti stessi saranno usciti cambiati da questa reclusione forzata.
In questo mondo cambiato le conseguenze più rilevanti e pesanti sono proprio quelle relative alle istituzioni scolastiche, il cui destino è ancora largamente dibattuto e sul quale gli scenari che sono stati profilati fino ad oggi sono sconfortanti. Le previsioni sono di una scuola in prevalenza a distanza, con turni di presenza degli studenti nelle aule e, comprensibilmente, attenzione estrema a mantenere le interazioni protette con l’uso di dispositivi come le mascherine e la distanza fisica. Come gli adolescenti faranno i conti con queste norme non è sufficientemente dibattuto: stiamo chiedendo loro di fare esattamente il contrario di quello che evolutivamente sarebbero chiamati a fare. A fronte dell’esplorazione, la vivacità, il fare esperienza nel mondo, stiamo proponendo loro un mondo asettico e freddo, costituito da limiti e regole. Se consideriamo che fisiologicamente gli adolescenti sono portati a testare i limiti per cercare una propria definizione, viene da chiederci come pensiamo che sia realistico fare rispettare questi limiti in epoca Covid, quando non abbiamo a disposizione niente che possa fare da contrappeso a queste privazioni. Quantomeno, dovremo pensare cosa dare loro in cambio, un compenso a queste richieste per niente scontate. La natura, li chiama ad altro, pretende altro per loro. E se siamo incoraggiati a rassicurarli dicendo loro che questo tempo passerà, che la vita riprenderà (Wagner 2020), non sapendo però esattamente quando, non offriamo una visione pensabile del futuro che sia veramente di sostegno alla speranza.
Sarà poi necessario dotarsi di strumenti e strategie per individuare i ragazzi per i quali l’impatto del periodo è stato negativo e ha prodotto sofferenza mentale. In questo compito, sarà fondamentale reclutare gli insegnanti che, una volta che auspicabilmente ci sarà la ripresa scolastica in qualunque forma sarà possibile, avranno la possibilità di osservare, speriamo da abbastanza vicino, i ragazzi e il loro stato di salute mentale. A questo scopo, potrebbe essere utile mettere a punto questionari di auto ed etero valutazione per individuare le situazioni a maggiore rischio e mettere a punto interventi mirati. Resta aperto il problema dei ritirati sociali, antichi e nuovi, difficilmente raggiungibili all’interno delle loro case.
In questo le nuove tecnologie possono essere di aiuto, con l’uso di software diagnostici e psicoeducativi o con il ricorso alla psicoterapia online ma, ancora una volta, non potranno sostituire le relazioni “reali” a cui adesso spetta, come società degli adulti tutta, il compito di aiutare gli adolescenti.
In questo senso, sarà auspicabile potenziare la rete territoriale della salute mentale, per effettuare letture calate nelle diverse realtà regionali e comunali e per dare risposte capillari al disagio giovanile, nelle sue diverse declinazioni.
Bibliografia
- Brooks SK, Webster RK, Smith LE, Woodland L, Wessely S, Greenberg N, Rubin GJ. The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. Lancet. 2020 Mar 14;395(10227):912-920.
- Magni C, Veneroni L, Silva M, Casanova M, Chiaravalli S, Massimino M, Clerici CA, Ferrari A. Model of Care for Adolescents and Young Adults with Cancer: The Youth Project in Milan.Front Pediatr. 2016 Aug 24;4:88.
- Usher K, Bhullar N, Jackson D. Life in the pandemic: Social isolation and mental health.J Clin Nurs. 2020 Apr 6. [In press]
- Veneroni, L., Mariani, L., Lo Vullo, S., Favini, F., Catania, S., de Pava, M.V., Massimino, M. and Ferrari, A. (2013), Symptom interval in pediatric patients with solid tumors: Adolescents are at greater risk of late diagnosis. Pediatr. Blood Cancer, 60: 605-610.
- Wagner KD. Addressing the Experience of Children and Adolescents During the COVID-19 Pandemic. J Clin Psychiatry. 2020 Apr 21;81(3). pii: 20ed13394. doi:10.4088/JCP.20ed13394.
- Wang G, Zhang Y, Zhao J, Zhang J, Jiang F. Mitigate the effects of home confinement on children during the COVID-19 outbreak. Lancet. 2020 Mar 21;395(10228):945-947.
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